Le posizioni per l’apertura dei negoziati concernenti l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e l’individuazione delle tematiche da affrontare e risolvere con priorità sembrano molto lontane. Questo è quanto emerge dagli incontri e dalle dichiarazioni dei leader di questi ultimi giorni. Solo una tattica negoziale oppure vi sono divergenze veramente profonde? Andiamo con ordine.
Il 18 aprile scorso, la premier britannica Theresa May presenta al Parlamento una mozione di scioglimento della camera elettiva che viene approvata con il quorum richiesto dei due terzi dei rappresentanti, motivandola con la necessità di un “mandato forte” al governo da parte dei cittadini proprio per affrontare il negoziato sulla “Brexit” con la UE.
La May, infatti, è giunta al governo, subentrando a Cameron grazie al voto del suo partito e non dei cittadini e i sondaggi danno in forte ascesa il partito guidato dalla May, che guadagnerebbe una maggioranza incontestabile in Parlamento.
I leader europei hanno approvato le “linee guida”
Passano dieci giorni e, il 28 aprile, a Bruxelles, i 27 leader dell’Unione approvano all’unanimità le linee guida per procedere nel negoziato. Il documento, a dire il vero, individua tre materie – definite prioritarie – da risolvere all’interno di un “accordo cornice” che definisca le scadenze per la definizione complessiva degli assetti e delle relazioni future tra le due parti.
Le tre priorità sarebbero: la garanzia del mantenimento dei diritti dei cittadini/lavoratori europei residenti in Gran Bretagna; il rispetto degli impegni finanziari della Gran Bretagna verso l'Ue; la questione delle frontiere tra Irlanda del Nord ed Eire che, in base agli accordi del 2000 tra UK e Repubblica d’Irlanda (membro della UE), per la cessazione della guerra civile, devono rimanere aperte.
Il negoziato complessivo, invece, dovrà essere condotto in base a una “raccomandazione” da adottarsi il 3 maggio da parte della Commissione e poi sottoposta al Consiglio europeo, il 22 maggio successivo. Tali linee sono state confermate dalla cancelliera Angela Merkel, che ha dichiarato alla stampa tedesca: «Solo quando saranno decisi gli aspetti più importanti del divorzio potremo parlare del partenariato futuro ».
Theresa May subito “di traverso”
Subito è giunta la reazione della “Lady di ferro” di Downing Street che ha ribadito, a sua volta, le priorità del Regno Unito, che lei stessa aveva individuato in gennaio: fine della giurisdizione delle Corti europee; fine della libera circolazione dei "migranti"; libero mercato.
Tale posizione è stata ribadita dalla stessa May nell’incontro avuto con il Presidente della Commissione Juncker, il 1° maggio a Londra, il quale è uscito assolutamente esterrefatto e pessimista su un possibile accordo, vista la distanza delle posizioni.
Ma è proprio così?
Sugli impegni finanziari dell’UK verso la UE, è evidente che Londra punti i piedi per poter strappare il massimo di sconto possibile. Il primo punto avanzato dalla May (giurisdizione delle Corti europee), inoltre, è tautologico alla brexit. Per quanto riguarda gli altri due, Londra è contraria alla libera circolazione dei lavoratori (irlandesi del sud compresi) ma intende mantenere la libera circolazione delle merci e dei capitali.
Il mantenimento di quest’ultimo punto è nell’interesse di entrambe le parti: non dimentichiamo che, in caso contrario, ben 110 milioni di euro/anno di export tedesco verso il Regno Unito potrebbero andare in fumo. Sulla libera circolazione e i diritti dei lavoratori c’è un principio base delle relazioni diplomatiche che è in grado di risolvere tutti i dissensi, quello della reciprocità: si chiede ciò che si è disposti a concedere e viceversa. Non c’è altra soluzione paritaria in qualsiasi trattativa.