Dopo alcuni giorni dalla consultazione referendaria per l’indipendenza della catalogna, tenutasi lo scorso 1 ottobre, le distanze, tra le parti in causa, non sembrano minimamente riavvicinarsi. E’ vero che il Capo del Governo di Madrid ha chiesto al presidente catalano Puigdmeont di rinunciare a dichiarare unilateralmente l’indipendenza, facendo ventilare la disponibilità a ricondurre la vertenza tra Madrid e Barcellona sul piano dei negoziati; ma è esattamente la stessa posizione tenuta da Rajoy prima dell’effettuazione del referendum, con la differenza che, adesso, la consultazione si è tenuta e le violenze della Guardia civil non sono bastate a fermarlo.
Per non parlare della posizione del Capo dello Stato, Re Felipe VI, il quale, dopo mesi di silenzio “assordante” sulla questione, ha pronunciato un discorso dai toni assolutamente provocatori nei confronti degli indipendentisti catalani.
Puigdemont non cede
Nel frattempo, la Corte costituzionale spagnola ha sospeso la riunione del Parlamento regionale catalano, prevista per lunedì, dove – in astratto – si sarebbe potuta pronunciare l’indipendenza della Catalogna e il governo centrale ha emesso un decreto con il quale si riducono al minimo le procedure burocratiche alle aziende che intendono trasferire la loro sede dalla Catalogna nel resto della Spagna.
Carl Puigdemont, a sua volta, ha furbescamente spostato a martedì la riunione del parlamento catalano, onde evitare un conflitto con la Corte e ha semplicemente rubricato l’oggetto del suo intervento in comunicazioni del Presidente della generalitat al parlamento.
L’impressione del cronista è che si stia comportando come un giocatore di poker in attesa di vedere le carte in suo possesso ma difficilmente intenzionato a passare.
Ora, Mariano Rajoy, ventila “guai peggiori”, per la Catalogna, ma non intende altre violenze, di franchista memoria, della Guardia Civil, né – probabilmente – l’utilizzazione dell’art.
155 della Costituzione che prevede l’adozione di tutte le misure necessarie qualora una comunità autonoma della Spagna attenti gravemente agli interessi del paese.
Gli scenari non sembrano rosei per Barcellona
Rajoy fa riferimento al pressoché sicuro peggioramento delle condizioni economiche della Comunità catalana, aggravate dall’isolamento internazionale, una volta dichiarata la “secessione”.
Già, infatti, alcune delle più importanti banche catalane hanno annunciato il loro trasferimento al di fuori della Catalogna – approfittando del recente decreto governativo – e, talune, lo hanno già fatto.
L’Unione europea, inoltre, continua a negare qualsiasi contatto con il governo catalano, rimanendo sulla posizione secondo cui uscire dalla Spagna, per la Catalogna, significherebbe uscire dall’Europa e anche dall’euro, con la conseguenza che l’eventuale nuovo Stato sarebbe costretto in breve tempo a costituire una sua banca centrale e a battere una nuova moneta, il cui valore diverrebbe presto carta straccia.
Incrociando tali informazioni, le “cassandre” prevedono settimane di sportelli bancomat chiusi, in Catalogna, per una situazione del tipo di quella che si è vista in Grecia, se non peggiore.
Anche gli stipendi dei lavoratori dipendenti – soprattutto quelli pubblici – sembrerebbero a rischio, quanto meno per il periodo transitorio.
Un pericolo che molti catalani hanno già subodorato, tanto che le manifestazioni pro-Spagna, quasi del tutto assenti durante la campagna elettorale, stanno prendendo corpo e già si parla di una enorme mobilitazione da parte di tutti gli spagnoli, in corso di organizzazione, a Barcellona, contro l’indipendenza catalana. Sono questi i “guai peggiori” a cui allude Rajoy che, come il cinesino del noto proverbio, sembra fermo in attesa di veder passare il cadavere del proprio nemico, anche se la sua immobilità è solo apparente.