Nell’ultimo botta e risposta tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini c’è tutta la difficoltà di una partita che, al contrario delle previsioni, resta ancora tutta da giocare. Chi sarà il candidato premier e che ruolo giocherà Forza Italia in un potenziale governo targato Movimento5Stelle-Lega? Al momento Di Maio e Salvini hanno dimostrato, almeno a parole, di avere idee completamente antitetiche. Sarà solo il tempo a svelare se si tratta o meno di un clamoroso bluff. Ciò che è certo è che i due, dall’alto del risultato conquistato alle politiche, dovranno siglare un nuovo compromesso.

Dopo la spartizione concertata di Camera e Senato, l’accordo per Palazzo Chigi che sembrava a un passo potrebbe saltare in extremis. Anche a causa degli equilibri sottilissimi di questo confronto, le parti non hanno mai smesso di guardare a fari spenti al Nazareno. Il Pd, uscito distrutto e ridimensionato dalle scorse politiche, potrebbe fungere così da ago della bilancia. Un ruolo che il segretario Maurizio Martina ha rispedito al mittente per il veto imposto dai renziani ad aprire un dialogo con gli acerrimi rivali. Discorso chiuso? Non del tutto. Nell’imprevedibilità di questa partita tra meno di una settimana entrerà in campo un giocatore di un certo peso: Sergio Mattarella. È proprio dal Colle che potrebbe delinearsi lo scenario definitivo necessario a scongiurare la paralisi.

Il gioco delle parti

Sia Di Maio che Salvini dovranno dimostrare responsabilità e affidabilità portando al tavolo di Mattarella non chiacchiere ma numeri. È evidente che la matematica premierebbe un esecutivo vestito su misura di M5S e Lega, così come il terremoto politico che si scatenerebbe all’indomani di una simile intesa.

Il più preoccupato al momento è Salvini perché sa bene che il suo peso specifico nella trattativa dipende strettamente dalla presenza del Centrodestra unito. Senza di esso il Carroccio, dall’alto del suo 17 per cento, potrebbe soltanto accontentarsi di recitare un ruolo da spalla nella coppia. In tal senso prosegue spietato l’attacco dell’establishment grillino a Silvio Berlusconi con l’obiettivo di costringere Salvini ad abbandonarlo al suo destino.

Da novello democristiano Di Maio è pronto a fare concessioni importanti al potenziale alleato, a patto che disconosca l’ex Cavaliere già ampiamente accontentato con l’elezione della Casellati a presidente del Senato. Il diktat non è andato giù all’ex camicia verde che, da par sua, ha dimostrato a più riprese di essere aperto a un confronto reale ma paritario. Ne va del resto della sua leadership tra i moderati che, tutto sommato, potrebbe lievitare con il ritorno immediato alle urne.

Renzi ritrova il sorriso

D’accordo puntare a Palazzo Chigi, ma guai a bruciarsi politicamente pur di governare il Paese. Lo sanno bene Salvini e Di Maio che non hanno nessuna intenzione di ripetere la parabola discendente di Matteo Renzi.

Passare dalle stelle alle stalle è un attimo, soprattutto se devi “sporcarti le mani” anteponendo la ragion di Stato agli interessi individuali. Ecco perché i due candidati premier non intendono retrocedere dalle loro posizioni e, fallito miseramente il walzer di queste pre consultazioni ufficiose, si presenteranno da Mattarella senza soluzioni particolari. Ad arroventare ulteriormente il clima nel nuovo Parlamento, l’elezione dei vicepresidenti e questori di Senato e Camera. Al termine del primo round ad avere la peggio è stato il PD: M5S e Lega hanno votato infatti ancora compatti a dispetto delle ultime frizioni. Ai dem non è andato nemmeno un questore. “Una cosa molto grave, mai successa - ha attaccato il neo capogruppo, Andrea Marcucci - la maggioranza ha già eletto i presidenti e ha deciso di non dare possibilità di accesso all’opposizione nell’ufficio di presidenza”. L’unico a sorridere del duopolio è Renzi: la guerra della spartizione delle poltrone, secondo l’ex segretario, si trasformerà in un boomerang impietoso.