Solamente ieri, alle 18 e qualche minuto del tardo pomeriggio di un 5 marzo molto difficile per il Partito Democratico, dopo la risposta delle urne, il Segretario del Partito si presenta in conferenza stampa. La sua attesa aveva aumentato ancora di più la curiosità di stampa ed elettori. Da ogni social network rimbalzavano, fin dalla prima mattinata, le voci riguardanti la necessità delle sue dimissioni.

Sono arrivate le dimissioni, tuttavia in una formula un po’ particolare

Matteo Renzi esordisce senza la paura di parlare di sconfitta, anzi sottolinea che si tratta di una sconfitta che impone una pagina nuova nel Partito Democratico.

Tuttavia, si dimostra il leader carismatico che è sempre stato, da alcuni giudicato arrogante, da altri no, sempre meno, a quanto pare, amato per questo. Specifica che chi ha vinto non ha i numeri per governare e questo per via della vicenda referendaria tanto osteggiata, a suo tempo, dagli attuali vincitori. “Sono loro le prime vittime della mancata semplificazione del modello istituzionale”. Sancisce senza mezzi termini.

Non manca, come è giusto che accada dopo ogni sconiftta, l’autocritica sugli errori: una campagna eccessivamente tecnica basata su proposte reali e dati di fatto, la mancata comprensione da parte del Colle, a suo parere, della necessità di recarsi alle urne nel 2017, quando l’agenda sarebbe stata, come in Francia e Germania, centrata sull’appartenenza europea.

Prende atto, Matteo Renzi, dell’evidenza di un vento estremista che nel 2014, dice, “siamo riusciti a fermare, ma che oggi non siamo riusciti a bloccare”.

Continua a lanciare frecciate al Movimento 5 Stelle, piuttosto che agli avversari della coalizione di destra, portando come esempio catastrofico degli errori di questa campagna elettorale il contrasto del collegio di Pesaro dove i candidati erano, per il centrosinistra, Minniti, il quale, stando alle parole del Segretario, “ha cambiato la percezione del problema immigrazione e la sostanza della soluzione del problema con un lavoro egregio riconosciuto anche dagli avversari”.

Tuttavia il candidato del Movimento 5 Stelle, Cecconi, già dichiarato impresentabile dallo stesso vertice del Movimento per lo scandalo dei bonifici bancari, ha vinto, e con una notevole distanza, rispetto a Minniti.

A questo punto arrivano le chiare dimissioni di Matteo Renzi dalla Segreteria del Partito Democratico. A qualche condizione, che è ciò su cui si discuterà durante tutte le ore successive sulla stampa, ma anche all’interno dello stesso Partito.

Renzi, infatti, specifica di aver già chiesto al presidente del partito l’assemblea nazionale per aprire la fase congressuale, ma solo dopo la formazione del governo. Perché questa condizione? Per due motivi principali e che Renzi ritiene imprescindibili in un’ottica di etica e morale.

Prima di tutto, ritiene necessario un confronto vero e diretto dentro il Partito Democratico su ciò che è accaduto in questi mesi ed anche in questi anni. Si auspica un Congresso risolutivo, che non sfoci in un reggente scelto da un 'caminetto', ma in un Segretario eletto dalle primarie.

Secondariamente, a prescindere dai risultati delle urne, ammette di sentirsi ancora garante di un impegno morale, politico e culturale.

Il Partito Democratico che, in campagna elettorale, aveva detto no a un governo con gli estremisti, non ha cambiato idea e per questo è stato votato, poco, ma è stato votato sulla base di questa fiducia. “Il nostro posto sarà quello di responsabilità all’opposizione” dichiara in termini molto netti, che non aprono a trattative di nessun tipo né con il Movimento 5 Stelle, né con il gruppo di Centrodestra. Infine, passa al lato personale, per rispondere alle tante domande arrivate nel pomeriggio su “cosa farà Renzi dopo queste dimissioni?”

Specifica che non c’è nessuna fuga, dopo l’insediamento ricoprirà il ruolo di senatore di Firenze per il quale è stato eletto nel suo collegio. Gli viene concesso un po’ di orgoglio storico e ricorda come, dopo 14 anni, si sia ripresentato ai fiorentini che continuano a votarlo, rinnovandogli un affetto ed un rispetto che definisce “quasi commovente”.

Si riparte dal basso, insomma, con molta umiltà, a fare quello che, secondo Renzi, deve fare tutto il Partito Democratico: recuperare il rapporto con le periferie. Se ne va senza chiedere scusa, ringraziando gli elettori ed, anzi, sottolineando che riparte con l’orgoglio di chi in 5 anni può dire di aver fatto un bel lavoro.