La soluzione più sensata al rebus sulla composizione del nuovo governo è quella di favorire la formazione di un “monocolore M5S” attraverso “l’astensione del Pd” nel primo voto di fiducia. È questa l’opinione del filosofo Massimo cacciari in merito alla situazione complicata che si è venuta a creare dopo le elezioni politiche del 4 marzo. Anche se il centrodestra è in vantaggio rispetto ai pentastellati in termini di voti e seggi ottenuti, il professor Cacciari, intervistato oggi da Tiziana Panella durante la trasmissione di La7 Tagadà, ritiene giusto che il movimento politico più votato dagli italiani abbia la possibilità di guidare un esecutivo.

Ma questo potrà avvenire solo se il Pd del segretario uscente Matteo Renzi sotterrerà l’ascia di guerra. Cacciari, inoltre, traccia un’analisi del voto, delle prospettive future in casa Dem e se la prende pure con Eugenio Scalfari.

L’analisi del voto di Cacciari: ‘Successo M5S previsto, vera sorpresa è Salvini’

Interpellato dalla Panella sul significato del voto del 4 marzo, Massimo Cacciari si dice non troppo sorpreso dall’affermazione del M5S, che lui stimava intorno al 30%, anche se non si aspettava certo un successo così largo in termini percentuali. Altrettanto poco sorprendente, aggiunge l’ex sindaco di Venezia, è il crollo ‘annunciato’ del Pd di Renzi, stimato da quasi tutti poco sopra il 20% prima delle elezioni e poi sprofondato addirittura al 19%.

La vera sorpresa, almeno a suo modo di vedere, visto che l’aria che tirava nel paese era chiara a molti, è invece il sorpasso compiuto dalla Lega nei confronti di Forza Italia. Tutto merito di Matteo Salvini ovviamente.

La crisi del Pd

Al centro del pensiero del filosofo c’è sempre, naturalmente, la sinistra e la sua crisi rappresentata plasticamente dal Pd.

Dopo aver premesso che, fosse stato in Renzi, si sarebbe dimesso dopo la sconfitta nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, Cacciari se la prende con il resto del gruppo dirigente Dem, il cosiddetto ‘caminetto’. Secondo lui i vari Franceschni, Cuperlo, Orlando e Zanda, che per anni hanno ricoperto il ruolo di “lecchni e yes men” del segretario, adesso non devono pretendere le sue dimissioni, ma devono avere il coraggio di “dimetterlo” votandogli pubblicamente contro in Direzione.

La previsione di Cacciari è che Renzi sicuramente si dimetterà, a meno che non si vada a nuove elezioni nel giro di pochi mesi. In questa situazione, il ruolo del neo iscritto al partito Carlo Calenda non conterebbe nulla. “Cosa vuole che conti?”, sbotta il professore.

Il rapporto tra Pd e M5S

E allora? Che fare? Secondo Cacciari è impossibile escludere il M5S dalle trattative per la formazione del nuovo governo. Pena ritrovarseli all’80% alle prossime elezioni. L’unica soluzione praticabile per il Pd, dunque, è favorire la formazione di un governo monocolore M5S e vedere se i pentastellati saranno capaci di governare mantenendo tutte le promesse fatte agli italiani. Per concludere, Cacciari se la prende anche con Eugenio Scalfari, reo a suo giudizio di aver detto peste e corna di Di Maio e compagni fino a pochi giorni fa e adesso, dopo la vittoria, diventato subito più moderato nei loro confronti, arrivando persino a parlare di “alleanza Pd-M5S”.