È arrivato il tempo di passare dalle parole ai fatti per il nuovo governo guidato da Giuseppe Conte. Un esercizio troppo spesso dimenticato che ha contribuito a lacerare la credibilità stessa delle istituzioni. Piaccia o meno, l’esecutivo gialloverde, nato dal matrimonio tra Movimento5Stelle e Lega, avrà per la prima volta una forza numerica ed elettorale esponenziale. La due giorni che ha sancito la fiducia delle Camere si è rivelata una formalità, ma non ha risparmiato perplessità derivanti in primis da chi è stato chiamato a realizzare un programma radicale di cambiamento.
L’esordio di Conte in Parlamento è stato contraddittorio: empatico ed efficace in Senato, timido e impacciato a Montecitorio. Di certo non ha contribuito ad accrescerne l’autorità l’immagine emblematica di lui marcato stretto dagli azionisti di maggioranza di questo governo: Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Il fuori onda di ieri (con Conte a microfono aperto che ha chiesto e non ha ottenuto dal grillino il permesso di dire qualcosa ndr) non lascia spazio a particolari dubbi. Più che l’avvocato di tutti gli italiani, il neo premier opererà da legale difensore di questo governo. Il professore ha chiesto tempo, pazienza e disponibilità in aula. L’opposizione non ha perso tempo per attaccarlo, facendogli pregustare il clima incandescente con il quale dovrà saper convivere.
Conte premier parafulmine
Preoccupante è stato il silenzio sul come e il quando dovrebbero essere attuate le riforme radicali contenute nel programma di governo. Conte non ha potuto dar seguito alla richiesta di spiegazioni della minoranza in materia di coperture economiche. Trincerandosi dietro un “abbiamo appena giurato” ha però avvalorato la tesi dei tanti detrattori.
Di Maio e Salvini, rimanendo furbescamente nell’ombra comoda del premier, si sono limitati a esultare per il risultato ottenuto. Ora viene però il difficile per i due leader di partito che sanno bene di non poter deludere il loro elettorato maggioritario. Una cosa è sbandierare in campagna elettorale il cosiddetto cambiamento, un’altra è svestire i panni di capi-popolo per attuare ciò che si è promesso.
Per entrambi l’inizio non è stato dei migliori visto che hanno preferito le piazze (e gli slogan) in vista delle elezioni che interesseranno questo weekend ben 761 Comuni. Come per tutti i governi insediati la luna di miele con gli italiani è reale ma non durerà a lungo: senza risposte concrete su temi controversi come Fornero, immigrazione, giustizia, flat tax e reddito di cittadinanza, il castello di sabbia si sgretolerà. Nel frattempo Conte continuerà a fungere da parafulmine pagando anche per responsabilità altrui.
Delrio è un fiume in piena
Rispetto al recente passato ha colpito e non poco la verve ritrovata del Partito Democratico. Più alla Camera che in Senato, i dem hanno stretto all’angolo Conte trascinandolo su di un un terreno senza protezioni.
Il capogruppo Graziano Delrio, più di tutti, non ha fatto sconti evidenziando le lacune e le gaffe commesse dal premier nel corso della sua replica ai deputati. Un boato è partito in modo naturale nel momento in cui Delrio ha scandito il nome di Piersanti Mattarella, che Conte aveva incautamente rievocato in precedenza con un generico “congiunto” del Capo dello Stato. In egual modo a promettere battaglia ci ha pensato il segretario reggente del PD, Maurizio Martina, che si è scagliato contro la deriva di Destra impostata da M5S e Lega. “Il vostro contratto - ha tuonato l’ex ministro dell’Agricoltura - è una cambiale che pagheranno le prossime generazioni”. A dir poco beffardo, invece, è stato l’annuncio in aula del berlusconiano di ferro Vittorio Sgarbi che ha spiazzato tutti: “Voterò la fiducia, la voterò pienamente per assistere al vostro declino”. E ancora: “Proprio perché dove c’è disordine e ignoranza io prospero, darò la mia fiducia”. Un colpo di scena seguito da un divertente siparietto con Di Maio, conclusosi con una stretta di mano.