È stata l'atleta rivelazione dei Campionati italiani assoluti di atletica paralimpica Fispes per la categoria T12 (ipovedente) che si sono disputati lo scorso fine settimana, dall'11 al 13 settembre, a Jesolo: parliamo della velocista transgender Valentina Petrillo.

L'atleta, in gara per la prima volta nella categoria femminile, ha raccontato a Blasting News le emozioni che ha provato nel vincere tre medaglie d'oro nei 100, 200 (27.47) e 400 metri e nell'aver conquistato, per la prima volta da donna, un podio ancora più importante: quello della sua realizzazione personale.

Intervista a Valentina Petrillo

Oltre ad essere un'atleta, svolgi anche un altro lavoro?

Si, sono una programmatrice di software informatici per le banche.

Chi è Valentina Petrillo? Raccontaci un pò la tua storia.

Sono nata a Napoli, il 2 ottobre del 1973, in una famiglia tradizionale come Fabrizio, ma sin dalla tenera età a emergere è sempre stato il mio lato femminile, quando anziché le macchinine preferivo mettere lo smalto alle unghie e vestire da donna.

Ho realizzato di essere maschietto a partire dai 10 anni, con l'inizio della pubertà ed è stato traumatico. Pregavo la notte di svegliarmi il giorno dopo con il seno, ma, naturalmente, non accadeva.

Come hai affrontato questo momento molto delicato della tua vita?

Ho cercato di vivere la mia vita in maniera pseudo-normale, seppur in continua lotta con me stessa e contro un contesto socio-culturale che non avrebbe compreso la mia unicità.

La tua famiglia come ha accolto questa tua unicità?

In realtà, lo hanno saputo solo di recente. Mia madre è venuta a mancare nel 2017, prima che potessi farglielo sapere, mentre mio padre, mio fratello e mia moglie lo hanno saputo nel 2018.

Avevo paura che loro e la gente che mi circondava, non potessero comprendere ciò che provavo e ho, praticamente, condotto una vita "da uomo normale".

La notizia li ha, ovviamente, presi alla sprovvista e, in realtà, in quel periodo, non sapevo neanch'io come gestire la situazione, ma preferii aprirmi ed essere sincera. Dal 2018, cominciai ad uscire di casa come Valentina e per me fu la cosa più naturale e spontanea del mondo.

Quando e com'è iniziato il tuo "percorso di cambiamento"?

Dopo aver consultato una sessuologa ed una psicologa, che mi hanno confermato una disforia di genere, ho deciso di assecondare il mio voler essere donna per poter vivere serenamente e senza più dover "recitare la parte dell'uomo, perché mi stavo spegnendo come persona, padre ed essere umano".

In merito alla tua disabilità, di cosa si tratta?

Si tratta della malattia di Stargardt (o maculopatia di Stargardt) emersa sempre in età adolescenziale ed è una patologia genetica, dovuta ad un problema nella mappa cromosomica e ad un gene disfunzionale, per la quale non c'è una cura. Riesco a vedere circa 1/50°, posso essere relativamente indipendente, ma non posso guidare e devo utilizzare strumenti di ingrandimento per il pc ed il cellulare.

Quando hai incontrato la Fispes?

Ho iniziato a fare atletica leggera nelle fila della Federazione a 20 anni, ancor prima che assumesse l'acronimo di Fispes. Sono sempre stata veloce, ma non avevo la determinazione giusta anche nel momento in cui mi si prospettò la possibilità di gareggiare ad Atlanta, ma rifiutai.

Che esperienza è stata, invece, questa di Jesolo?

L'ho vissuta come normalità, come sempre avrei voluto che fosse, e sono la prima donna transgender al mondo ad aver partecipato ad un campionato nazionale in una categoria femminile, pur avendo documenti maschili.

Grazie a delle linee guida emesse dal Comitato Paralimpico Internazionale nel 2015, che prevedono la possibilità per le persone transessuali di partecipare alle competizioni sportive rispettando solo il parametro relativo al livello di testosterone (sotto ai 5 nanomoli), ho potuto gareggiare in maniera del tutto regolare.

Un percorso difficile da intraprendere, lungo, a tratti demotivante a causa della scarsa informazione sul tema anche nel mondo sportivo, ma che ho voluto affrontare comunque, supportata da persone che hanno creduto in me come Joanna Harper ed il presidente Luca Pancalli, perché nella competizione tra le donne ho trovato la mia vittoria più grande.

Presto la tua storia diventerà un docu-film ed un libro, come si intitoleranno?

Le riprese sono iniziate circa un anno fa, nel momento più difficile in cui non avevo alcun riscontro da parte delle federazioni, si intitolerà "5 nanomoli" (limite del livello testosterone per la partecipazione alle gare in una categoria femminile), mentre il libro, sul quale sto ancora lavorando, vorrei intitolarlo, per ovvie ragioni, "In corsa per diventare donna".