Una bambina di 11 anni proveniente da un villaggio del Gambia è stata salvata la mattina del 14 aprile dopo che il barcone partito dalla Libia che trasportava lei e la sua famiglia è affondato nel Mediterraneo. I suoi familiari - mamma, papà, il fratellino e la sorella maggiore - sono morti tutti. Lei è stata l'unica a salvarsi e anzi deve la vita alla sorella poco più grande, che l'ha tenuta a galla con le sue braccia e poi è annegata proprio mentre i soccorsi erano in arrivo. Ora la bambina si trova a Reggio Calabria e ha scritto una lettera immaginando di rivolgersi ai moltissimi che in questo periodo decidono d'intraprendere un "viaggio della speranza" (ovvero della disperazione) per venire in Italia: "Fratelli e sorelle, non partite", supplica in un inglese incerto.
L'operazione di soccorso e l'affondamento della "carretta del mare"
Il barcone in questione è stato raggiunto dalla nave Orione della Marina militare italiana, che ha salvato 144 persone ma purtroppo ha recuperato anche 9 cadaveri. I superstiti hanno raccontato che a bordo dell'imbarcazione c'erano almeno 400 migranti, stipati nella stiva come sardine.
Nemmeno una settimana prima di questo episodio, c'era stata la strage nel Canale di Sicilia che, con i suoi 750-850 morti, aveva commosso il mondo. Ora la bambina di 11 anni salvata, si trova a Reggio Calabria. Nella sua lettera-appello a non partire, ha scritto che con la sua famiglia si era imbarcata in Libia e lì si erano divisi. Il padre aveva pagato di più gli scafisti per lei e sua sorella, in modo che potessero stare in un posto più in alto e avere quindi maggiore possibilità di salvarsi nel caso la barca fosse andata a fondo.
Poi però c'erano state le lunghe ore nella stiva e il rischio di morire asfissiati, così i passeggeri hanno cercato aria raggiungendo l'uscita, ma hanno trovato la porta bloccata. Perciò il mezzo si è sbilanciato, rovesciandosi.
La lettera
Arrivata a terra al sicuro, l'undicenne del Gambia è stata portata in una delle case d'accoglienza per minori dell'associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha a disposizione un Servizio Immigrazione.
Gli psicologi che si occupano della piccola, l'hanno esortata a scrivere a scopo terapeutico, per cercare di "buttar fuori" i ricordi di quell'esperienza così dolorosa, traumatica e devastante. La bambina ha scritto allora una lettera in cui, con il suo inglese incerto, immaginava di rivolgersi a chi fosse intenzionato a lasciare la propria terra per un futuro migliore, ma intraprendendo un viaggio che il più delle volte non ha lieto fine.
"Molte persone sono morte, i miei migliori amici, mia sorella e mio fratello sono morti fra le onde per arrivare in Italia...", spiega. "Vi supplico, fratelli e sorelle, basta arrivare in questo modo"; "Vi prego, vi prego, vi prego - ripete - Vi dico queste parole perché so cosa ho visto e ho visto molte cose che non posso raccontare. Quel che posso dire a chi di voi sta per arrivare è: non fatelo, per favore, fratelli e sorelle...". E prosegue: "Attraversare il mare è molto, molto pericoloso. Vi prego, basta". Infine conclude: "Questa lettera è scritta dalla vostra giovane sorella (nome e cognome, ndr). Addio e grazie per averla letta".