In Florida, un 19enne ha aperto il fuoco in un liceo, il suo ex-liceo, con l’obiettivo di fare più vittime possibile.

Nell’orrore di questa notizia, ciò che ha fatto Aaron Feis brilla come un incredibile atto di eroismo. Il coach di football ha fatto da scudo col proprio corpo per salvare i suoi studenti dai proiettili, soccombendo successivamente alle ferite che ha riportato.

Il suo coraggio è celebrato da tutti e le sue azioni commuovono il mondo. Perché mettere a rischio la propria vita, sapendo con quasi assoluta certezza, in quel momento, che la si perderà, e salvare così altre vite innocenti, sembra qualcosa di straordinario.

Ma anche se è un atto meraviglioso, non è straordinario. Questo non per svalutare il coraggio di Aaron Feis, ma per rendere conto dell’incredibile forza dell’umanità che è in ognuno di noi, e che in situazioni come questa si svela in tutta la sua straordinaria ordinarietà.

A ben pensarci, per ogni notizia di un atto di terrore, orrore, malvagità che sentiamo, esce una relativa notizia di un atto di coraggio, amore, sacrificio.. È di pochi giorni fa la notizia di un giovane che, senza pensare, si è gettato sui binari della metro di Milano per salvare un bambino di due anni che era caduto.

Gli eroi nascono nel momento in cui c’è bisogno di loro

È la prospettiva di due psicologi, Zeno Franco e Philip Zimbardo, il secondo dei quali è famoso per lo sconvolgente esperimento della prigione di Stanford.

La chiamano “la banalità dell’eroismo”, e sostengono che le stesse circostanze che ci mostrano il peggio dell’umanità facciano uscire anche l’eroismo che è insito in ognuno di noi.

È importante pensare all’eroismo in questi termini: il peggio dell’umanità è stato studiato, fa rumore, sembra evidente e onnipresente anche nelle piccole cose quotidiane; il meglio dell’umanità, invece, è silenzioso e si nasconde nei piccoli gesti che rumore non ne fanno, che non hanno un’emozione forte come l’indignazione a spingerli alla luce dell’attenzione pubblica.

Ed è per questo che gli atti di eroismo ci sembrano propri di persone speciali, o che almeno hanno caratteristiche speciali, che appartengono solo a loro, pochi eletti.

È importante che l’eroismo venga, invece, pensato come a un attributo dell’umanità tanto quanto la capacità di fare del male, che diamo quasi per scontata.

Ma cos’è l’eroismo?

L’eroismo si distingue dall’altruismo per la presenza di potenziali conseguenze catastrofiche nell’agirlo, e l’accettazione da parte dell’individuo di quelle conseguenze.

Franco e Zimbardo definiscono quattro caratteristiche fondamentali dell’eroismo:

  • c'è la ricerca di un fine, che sia preservare la vita di altri o il conseguimento di un ideale (come la lotta per i diritti degli afroamericani di Martin Luther King);
  • c’è un rischio riconosciuto dalla persona, sia a livello fisico che sociale (individui che mettono a repentaglio la propria reputazione andando contro a organizzazioni che hanno un grande potere);
  • gli atti di eroismo possono essere anche passivi, oltre che attivi, come la celebre frase di Quattrocchi di fronte alla morte;
  • gli atti di eroismo possono essere un’azione immediata ed estemporanea, o possono essere portati avanti per lunghi periodi di tempo (per esempio, le numerose persone che hanno durante l’era del nazismo hanno aiutato decine di ebrei nella loro fuga).

Cosa crea un eroe?

Un effetto molto noto in Psicologia è l’effetto spettatore, che delinea come, in una situazione di emergenza, gli spettatori sentano quella che si chiama “diffusione della responsabilità”, non offrendo aiuto alla vittima pensando che qualcun altro si farà avanti.

La probabilità che un individuo dia aiuto è inversamente proporzionale al numero di spettatori presenti.

È una prospettiva terrificante. Ma Franco e Zimbardo propongono una prospettiva alternativa: le stesse condizioni che creano un gruppo di spettatori passivi possono tirare fuori da persone ordinarie incredibili atti di eroismo. Proprio come certe situazioni tirano fuori il peggio dell’umanità, tirano fuori anche il nostro meglio.

Ancora non sappiamo quale sia la variabile che porta l’individuo a comportarsi in un modo piuttosto che nell’altro. Non sappiamo perché una persona decida di sacrificarsi o di rimanere a guardare. Sembra, però, che la capacità di immaginarsi situazioni di pericolo e porsi il problema di come agire, anche solo ipoteticamente, considerando le proprie azioni e le loro conseguenze, sia un fattore importante che determina il tipo di azione che verrà intrapresa al momento del bisogno.

Gli autori chiamano questa capacità “immaginazione eroica”. È come se fosse un esercizio, e che nel momento in cui c’è bisogno di agire e non c’è tempo di pensare, le persone che hanno questo tipo di immaginazione siano già preparate, abbiano già fatto la loro scelta.

Il problema è che la nostra società ha cominciato a dimenticare il valore dell’eroismo, ha iniziato a celebrare meno gli eroi, i grandi Eroi della nostra epoca, e di conseguenza nella nostra fantasia collettiva non abbiamo in mente che potremmo essere eroi anche noi. L’eroismo è stato parte integrante della cultura occidentale fin dall’Iliade, i bambini hanno sempre ascoltato storie di eroi che affrontavano situazioni impossibili e ne uscivano vincitori con coraggio e abilità, sono sempre stati allenati, fin dall’infanzia, all’immaginazione eroica; ora molto meno.

Ed è importante che torniamo a immaginarci gli eroi, a fantasticare di poterlo essere anche noi, che i nostri figli abbiano in mente che esiste la possibilità di essere coraggiosi e fare cose straordinarie.

Se riusciamo a riconnetterci ai nostri ideali antichi, a rinnovarli in questo mondo moderno e renderli attuali, avremo tutti la possibilità di sperimentare, anche solo immaginandolo, l’eroe che sta in ognuno di noi, e che un giorno potrebbe fare la differenza nel mondo.