Quella del 2022 sarà la terza stagione del ciclismo internazionale da quando è iniziata la pandemia da Covid. Nonostante i protocolli in particolare la variante Omicron, a causa della sua maggior contagiosità, continua a rendere molto complicato il lavoro di ciclisti e team.

Nella giornata di oggi, domenica 20 febbraio, partirà l'Uae Tour, prima gara del World Tour maschile. I corridori che avrebbero dovuto far parte della corsa erano 140, ma 13 di questi hanno dovuto rinunciare a causa della positività al Covid, emersa dal tampone. Numeri che hanno spinto diversi ciclisti ad esprimere le proprie perplessità sul modo con il quale il mondo del Ciclismo sta gestendo il coronavirus.

Il parere di Van Aert

Il corridore belga Wout van Aert, intervistato dal giornale Het Nieuwsblad ha evidenziato come un'eventuale positività al tampone vanifichi di fatto tutta la preparazione, anche se il ciclista coinvolto è completamente asintomatico (cosa avvenuta di recente anche a Gaviria, per la terza volta positivo da quando è iniziata la pandemia).

Per questo motivo, Van Aert si è detto convinto del fatto che si dovrebbe prendere in considerazione l'idea di "non basarci più su un test positivo". A supporto di questo, il corridore ha sottolineato come in passato nessuno sia mai stato testato per "l'influenza o il raffreddore". Dunque, secondo il parere del campione belga occorrerebbe "iniziare a guardare al Covid come con le altre malattie".

Tutto questo, comunque, a patto che il positivo non abbia dei sintomi: "Se ti ammali devi rimanere a casa".

Dumoulin: 'Stesse regole di due anni fa, quando i vaccini non c'erano'

Decisamente molto critico si è mostrato essere anche Tom Dumoulin, che ha sottolineato come un'eventuale positività al Covid-19 comporti una quarantena domiciliare di almeno dieci giorni: "Vuol dire che perdi tutta la primavera, tutta la preparazione, pur senza avere sintomi".

Il corridore olandese, di fatto, ha evidenziato come siano in vigore tutt'ora le "stesse regole di due anni fa, quando i vaccini non c'erano". Tutto questo è stato definito "quantomeno strano", pur riconoscendo comunque che si tratta di un problema che va ben oltre il ciclismo, coinvolgendo invece "le regole degli Stati".

Ganna: 'Noi ci atteniamo a quel che ci dicono'

Decisamente più prudente, invece, si è mostrato essere Filippo Ganna . Il ciclista italiano, infatti, ha voluto ricordare a tutti i suoi colleghi ciclisti che non spetta a loro il compito di decidere le regole: "Noi ci atteniamo a quello che ci dicono".

Ganna, poi, ha sottolineato come sia già una "fortuna" il fatto che la maggior parte dei casi ora non porti dei sintomi, prendendo le difese delle autorità: "Le regole sono prese per il bene della comunità, non dei singoli".