Dopo più di nove mesi dal referendum del 23 giugno scorso, il premier britannico Theresa May ha dato ufficialmente il via all'iter formale dell’uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, inviando una lettera di notifica dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona del 2007 (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).
L’atto ufficiale, infatti, ha dovuto attendere l’approvazione del Parlamento di Westminster, come sancito dalla Corte Suprema UK e, inoltre, ha dovuto superare un veto sospensivo da parte della Camera dei Lord.
Aggirati questi ostacoli, il 29 marzo l’ambasciatore britannico presso l'UE ha potuto consegnare al Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, la nota che ufficializza la Brexit
Il discorso di Theresa May accolto dalle risate dei parlamentari
La permanenza nella UE - ha detto Theresa May alla Camera dei Comuni - sarebbe stata "incompatibile con la volontà popolare" manifestata nel referendum. Ma il suo discorso è stato costellato da più di un lapsus freudiano, con affermazioni del tipo: "Adesso più che mai il mondo ha bisogno dei valori liberali e democratici dell’Europa". Queste dichiarazioni hanno suscitato una certa ilarità, accompagnata da fragorose risate da parte dei parlamentari britannici.
Ciò dimostra ancora una volta – qualora ce ne fosse ancora bisogno – che le motivazioni che hanno portato alla Brexit non sono di carattere economico (allo stato attuale delle cose nessuno sa di preciso quali saranno i relativi vantaggi e svantaggi) ma – come si diceva una volta - sono di stampo politico.
Separazione dei mercati, ma effetto soft sugli europei residenti
La Premier britannica ha escluso che le trattative che si apriranno con la UE per definire le clausole della separazione, possano condurre ad una forma di associazione che riproduca l’attuale unicità del mercato. Ha detto addirittura di rispettare la linea di alcuni "falchi" di Bruxelles, secondo cui Londra non potrà tenersi solo ciò che le piace, rigettando quello che non le fa comodo.
Allo stesso tempo, la May ci ha tenuto a precisare che i diritti dei cittadini UE residenti in Gran Bretagna saranno garantiti. Anche perché, se nei confini britannici risiedono 3 milioni di cittadini europei, nel continente risiedono circa un milione di britannici; una cifra considerevole. Dunque esiste un comune interesse a mantenere qualche forma di intesa cordiale tra i partners.
Quest'aspetto è importante soprattutto per la comunità italiana che rappresenta, oggi, nella sola Londra, un bacino di circa mezzo milione di persone – in maggioranza giovani lavoratori – tra residenti e non. E allora, Brexit sia!
Scot-exit e quant'altro?
Il Parlamento scozzese di Edimburgo ha accolto la Brexit molto più freddamente rispetto a Westminster.
Subito dopo la firma, infatti, l’assemblea locale ha approvato una richiesta di referendum di secessione della Scozia dal Regno Unito – con conseguente mantenimento o rientro nella UE – e immediatamente la Premier Nicola Sturgeon ha inviato una nota informativa a Theresa May.
La Scozia, infatti, lo scorso giugno ha rifiutato la Brexit con una percentuale del 62% dei voti e, anche se in un referendum precedente la secessione era stata respinta con un buon 55,3%, ora sembra che per gli indipendentisti sia la volta buona. Dopo la Brexit, dunque, ci sara anche una Scot-exit?
Le "cassandre" prevedono, per il Regno Unito, un futuro da ex-Jugoslavia, visto che anche Belfast potrebbe organizzare un referendum di accorpamento della Nord Irlanda alla Repubblica d'Irlanda - membro della UE - così come già previsto negli accordi del 2000 per il superamento della guerra civile nordirlandese.