Il leader della Lega Matteo Salvini annuncia che, se dovesse andare al governo, provvederà a reintrodurre la leva obbligatoria per i giovani.
Questo provvedimento, afferma, avrebbe molteplici vantaggi: anzitutto rafforzerebbe il senso di identità nazionale nei ragazzi, considerato, tra l’altro, che verrebbero inclusi non solo giovani italiani ma anche extracomunitari. Potrebbe, poi, rivelarsi un mezzo per tenere lontani i ragazzi dal mondo delle droghe. Un altro pregio sarebbe quello di ostacolare rigurgiti di estrema destra – che sembrano essere esplosi nel Paese a partire dai fatti di Macerata - e di combattere concretamente il terrorismo.
Sarebbe, insomma, un modo per ristabilire ordine e disciplina.
La leva in Italia
L’idea di reintrodurre la leva obbligatoria era già stata proposta nel 2015 dallo stesso Salvini. Tuttavia, anche in quella circostanza, l’evidenza che tale iniziativa rappresentasse un investimento di denaro pubblico eccessivo e, tutto sommato, non prioritario, l’aveva presto fatta abbandonare.
Il servizio militare di leva per tutti gli uomini a partire dai diciotto anni fu infatti sospeso, e non abolito, nel 2004 perché ritenuto un costo eccessivo da sostenere in una stato di non belligeranza. Quello che molti non sanno è che il servizio di leva non ha mai cessato di esistere, è semplicemente confluito nel Servizio Civile Nazionale (volontario).
Ma ciò che ci interessa analizzare di questa proposta è l’aspetto correlato all’integrazione degli extracomunitari. «Penso che di fronte a rigurgiti razzisti e alla minaccia del terrorismo un esercito di leva sia meglio per la democrazia. Così si fa integrazione, così si insegna il dovere prima che il diritto» queste le parole di Salvini.
Istituire degli obiettivi condivisi può portare a una maggiore coesione?
L’idea è che attraverso la creazione di un “livello sovraordinato” di gruppo (Tajfel), vale a dire il gruppo delle leve militari, sia possibile integrare il gruppo degli italiani e il gruppo degli stranieri. Questo meccanismo non è nuovo alla Psicologia sociale, che ha studiato, a periodi alterni, la formazione dei gruppi sociali e i conflitti correlati.
Il fatto di riunire gruppi diversi e spesso in contrasto sotto un’identità comune potrebbe quindi essere un modo tramite il quale far cessare i conflitti.
Già negli anni ’50 lo psicologo sociale Muzafer Sherif svolgeva i suoi studi su gruppi di ragazzi partecipanti a un campo estivo, studi successivamente diventati famosi come “L’esperimento di Robbers Cave” (dal nome della località in cui si svolgevano). Sherif aveva notato che per risolvere le tensioni che si erano create tra i due gruppi contrapposti di ragazzi, bastava riunirli sotto degli “scopi sovraordinati”: creare un obiettivo comune che entrambi fossero motivati a raggiungere, al fine di unire le forze e lasciare da parte le tensioni.
In un occasione, ad esempio, gli sperimentatori causarono volutamente un danno al furgoncino che portava le provviste al campo estivo: in questo modo, i ragazzi, spinti da un desiderio condiviso (quello di mangiare), avrebbero collaborato e avrebbero dimenticato le antipatie che li contrapponevano.
Il bisogno di interiorizzare la missione
Rapportando questa tematica alla proposta della Lega, dobbiamo fare delle precisazioni: se è vero che creare uno “scopo sovraordinato” - la consapevolezza di portare in alto la bandiera italiana- potrebbe aumentare l’integrazione, è altrettanto vero che entrambi i gruppi (italiani vs stranieri) dovrebbero fare profondamente propria questa missione. Aspetto, questo, che probabilmente mancherebbe a molti.
Sorge qualche dubbio, inoltre, sul fatto che l’intento della proposta sia quello di voler offrire effettivamente una risposta a un problema sociale, quello dell’integrazione, molto sentito in tutte le realtà d’Italia. Specie se consideriamo che la Lega non sembra essere orientata all’integrazione, ma sembra essere più propensa a marcare una netta linea divisoria “noi” vs “loro”.
Permangono dunque i dubbi se questo provvedimento possa veramente essere un metodo per ovviare a questo problema. O se non rischi, al contrario, di trasformare la “disciplina” voluta da Salvini in un’arma di repressione di quelle differenti realtà che si pensava di integrare, con i drammatici risvolti che la storia ci ha insegnato.