Stati Uniti, 8 gennaio 2004: dal suo studio in cima alla Trump Tower di Chicago e dagli schermi della NBC, Donald John Trump pronuncia per la prima volta la frase che lo renderà una delle più amate celebrities televisive degli ultimi anni: "You're fired!", sei licenziato. Il destinatario è un tale David Gould, trentunenne di New York che di professione fa il venture capitalist, ovvero investe nel capitale di imprese senza garanzie se non quelle di percepire una percentuale degli eventuali utili, se mai ve ne saranno. È lui la prima vittima di The Apprentice, lo show che ha visto per undici anni Donald Trump dominare la scena con il carisma del mogul potente e dalla mano di ferro: tutto il contrario del Flavio Briatore della pallida imitazione italiana, più a suo agio a bordopiscina con un cocktail che in una sala riunioni.

David Gould, la cui carriera in TV si fermerà lì, è la prima vittima mediatica del ciclone Trump, in un florilegio che negli ultimi anni ha incluso ex mogli, amanti, giornalisti, presidenti, aspiranti candidati repubblicani alla presidenza, veterani di guerra e infine la sua sfidante democratica alla Casa Bianca, sorprendentemente sconfitta nell'election day più clamoroso della storia USA.

Donald J. Trump all'assalto al Partito Repubblicano

Flash forward: Stati Uniti, 17 ottobre 2008. Diciannove giorni prima dell'elezione di Barack Obama a 44° Presidente degli Stati Uniti, in uno sparuto pugno di sale esce W. di Oliver Stone, ritratto al vetriolo di George W. Bush, all'epoca ancora in carica come inquilino della Casa Bianca.

In una delle scene ricorrenti del film, il vecchio George Bush, già presidente USA e anziano gentiluomo del sud dai modi affettati, si rivolge al giovane rampollo George W., all'epoca studente mediocre e incline a cacciarsi nei guai, con una frase che ha l'effetto di un inceneritore: "You disappoint me, Junior. You disappoint me very much", tu mi deludi ragazzo, tu mi deludi molto.

In casa Bush, il "bravo ragazzo" è il secondogenito Jeb, ed è lui che i saggi genitori vorrebbero destinare a una radiosa carriera politica. Finora le cose sono andate diversamente, visto che "Junior" è stato presidente per otto anni e Jeb si barcamena ancora fra incarichi da governatore e l'attività di famiglia (petrolo, what else?).

Colpa anche - anzi, soprattutto - di Donald Trump, capace di incenerire tutti gli altri candidati repubblicani un caucus dopo l'altro, a partire proprio da Jeb Bush, deriso senza mezzi termini come uomo senza nerbo né energia. All'interno di quel partito che non lo ha mai realmente voluto, il piccolo Bush è stato solo il primo a cadere: e se un autorevole rappresentante di cotanta dinastia politica è stato fatto fuori così facilmente, cosa mai potevano i più traballanti Ted Cruz e Marco Rubio, esponenti repubblicani dei sempre più numerosi Latinos ma troppo teneri e fragili per reggere l'agone politico? Il secondo arrivò persino a scusarsi per una battutaccia allusiva sulla dotazione intima del rivale: The Donald non l'avrebbe mai fatto.

Donald vs. Hillary

Se Donald Trump fosse una squadra di calcio, sarebbe una di quelle che quando vedono le "grandi" tradizionali tirano sempre fuori la partita della vita. Parte sconfitto, esce trionfatore, lui last man standing, gli avversari miseramente al tappeto. L'ultima vittima illustre si chiama hillary clinton, e anche lei è l'esponente di un'autorevole famiglia di politici. Vincitrice annunciata, è entrata papessa e non è uscita nemmeno cardinale, travolta dal ciclone Trump praticamente ovunque. Proprio lui, Donald Trump l'outsider, l'underdog, il cafone ripulito, il perdente annunciato, li ha messi in fila tutti, ha mandato in pensione Hillary, ha rimandato a chissà quando l'elezione della prima donna presidente (toccherà a Michelle Obama?), ha sovvertito tutti i pronostici. Ha anche schiantato le borse di mezzo mondo e messo in allarme praticamente tutti i paesi democratici e persino qualche dittatura.Ma questa è un'altra storia.