Un occhio alle urne e l’altro al Colle. Lo strabismo dei partiti impegnati nelle ultime ore della loro campagna elettorale è evidente. La vera partita comincerà all’indomani del 4 marzo e a dirigerla sarà un arbitro che dovrà svincolarsi da pressioni e polemiche: Sergio Mattarella. Il Capo dello Stato si è tenuto ben lontano dall’aspro confronto tra forze politiche, che pure hanno tentato di chiamarlo in causa nel tentativo di avvalorare le proprie mosse. Mai come in questo caso il ruolo di Mattarella sarà al tempo stesso cruciale e complicato.
Il Rosatellum alla prova dei fatti si è dimostrato un clamoroso pasticcio persino peggio del tanto odiato Porcellum. Con la nuova legge elettorale è venuto meno il carattere maggioritario che, salvo un exploit del Centrodestra, potrebbe far risvegliare il Paese ancora più immobilizzato. In tal senso l’ipotesi di un governo di scopo (o del presidente) comincia a non dispiacere a nessuno. Gli sponsor non mancano così come gli estimatori del premier uscente Paolo Gentiloni, considerato l’uomo giusto in una situazione di vera e proprio emergenza politica. “Se non c’è una maggioranza chiara - ha affermato l’ex segretario del PD, Walter Veltroni - serve fare una legge elettorale con un premio di maggioranza e tornare alle urne”.
Mattarella è sulla stessa lunghezza ma occorrerebbe, in tal senso, l’unanimità tra i partiti.
Partita a scacchi
A riprova delle difficoltà con le quali Mattarella dovrà fare i conti nei prossimi giorni, vi è la scelta del Movimento5Stelle di giocare d’anticipo. Luigi Di Maio ha annunciato la sua potenziale squadra di governo al Quirinale chiarendo a tutti le sue intenzioni.
No ad accordi, no alle larghe intese, sì alla possibilità di entrare a Palazzo Chigi aprendo al sostegno esterno degli altri partiti su di un programma chiaro e condiviso. Mattarella ha in qualche modo frenato le ambizioni di gloria del giovane capo politico, ma non potrà sottovalutarne la forza elettorale. Con un M5S primo partito in Parlamento potrebbe toccare proprio a Di Maio un tentativo di trovare i numeri in aula.
A quel punto chi sarebbe pronto a tendere la mano? Di sicuro non Forza Italia e il Partito Democratico. Un’apertura parziale si è registrata da Liberi e Uguali di Pietro Grasso, disponibile a dialogare con la concorrenza ma soltanto per una breve finestra legislativa. La vera sintonia (nonostante le smentite di facciata) permane invece con Matteo Salvini. Tra il M5S e la Lega c’è da sempre condivisione su aspetti importanti quali l’Europa e l’immigrazione. Dopo aver smentito in passato l’esistenza di un dialogo, chissà che Di Maio non si ricordi dell’altro Matteo il prossimo 5 marzo.
Alleati e lacerati
Chi potrebbe aspirare a risolvere sul nascere i problemi di Mattarella è il Centrodestra, che resta la sola coalizione in lizza per conquistare la maggioranza dei seggi.
Tutto bello se non fosse per il dettaglio non trascurabile che al suo interno si viaggia su binari paralleli. Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni non sono mai stati così distanti. La loro resta un’alleanza da fotografia, di facciata, che difficilmente reggerà con o senza la vittoria alle elezioni politiche. L’ex Cavaliere direbbe immediatamente sì a un governo traghettatore che gli consentirebbe, tra l’altro, di attendere la sentenza della Corte di Strasburgo per ritornare in pista da candidato premier. Salvini da par sua è stufo di Berlusconi che non lo sosterrebbe mai per Palazzo Chigi, nemmeno nell’eventualità che la Lega superasse nei voti Forza Italia. Chi si sente tradita dai compagni di viaggio è la Meloni: la leader di Fratelli d’Italia, dopo essere stata abbandonata nell’evento da lei organizzato per dire no all’inciucio, è volata in Ungheria per farsi immortalare al fianco di Orban.
Una mossa mal digerita da Berlusconi già impegnato a rassicurare l’elettorato dalla corrispondenza di amorosi sensi tra Salvini e Casapound. Altro che unità: il Centrodestra è a un passo dall’implosione.