Scoppia la rivoluzione rosa nel Partito Democratico, o forse sarebbe meglio dire un vero e proprio terremoto. Si era tentato pochi giorni fa di dare una svolta al femminile, paventando il nome della governatrice uscente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani per la carica di segretario. Ma l’appello firmato da oltre 400 donne dai vertici del partito in queste ore è di tutt’altro tono. Inoltre, proprio ieri è stata la stessa Serracchiani a muovere più di un rimprovero alla gestione Renzi del Partito.
Towanda dem
Si parte con una citazione del film pomodori verdi fritti per denunciare un partito sempre più chiuso e trincerato in decisioni maschili.
Un vero e proprio atto di accusa, sia contro la vecchia dirigenza, in particolare Matteo Renzi e Matteo Orfini, che contro quella attuale. La rabbia delle militanti democratiche è giustificata dai sotterfugi messi in atto dalla dirigenza, a loro dire studiata per favorire le candidature dei maschi. Un esempio sono le pluricandidature femminili che hanno finito per incentivare l’elezione di più uomini alle politiche del 4 marzo. A causa infatti della presenza multipla di 8 donne, lamenta il “Towanda team”, ben 39 donne non sono potute entrare in parlamento per favorire altrettanti uomini.
La fazione rosa del Partito Democratico, rimprovera al partito l’aver mutuato politiche di destra infilandole furtivamente nel programma dei 100 punti e di essere stato sovrastato da Centrodestra e Movimento 5 stelle per quanto riguarda l’elezione di deputate e senatrici alle scorse legislative.
Abbiamo sbagliato a fidarci
Le rappresentanti politiche Dem rimproverano alla dirigenza anche un’iniqua suddivisione delle cariche tra i generi in parlamento, cosa che per esempio non è avvenuta in altri partiti come Forza Italia, che ha eletto due capogruppo donne, Bernini e Gelmini, e consentito l’elezione della prima donna presidente del Senato.
Ad acuire la rabbia delle donne PD è la foto delle consultazioni al Quirinale. In cui i rappresentanti dei democratici erano esclusivamente uomini.
Ma non solo. Le firmatarie dell’appello rimproverano a se stesse di aver abbassato la guardia, abbagliate dal primo governo con un’equa spartizione del ministero tra i generi.
Non il primo appello
Non è la prima volta che le rappresentanti democratiche si compattano per far sentire la propria voce. Lo avevano fatto prima delle elezioni per chiede l’unità del partito e la cessazione delle divisioni interne. Lo rifanno ora, questa volta per chiedere la considerazione e il rispetto che meritano, anche alla luce del lavoro svolto in parlamento in questi anni.