Il via vai a Montecitorio è partito fitto già alla buon’ora. Matteo Salvini e Luigi Di Maio si sono incontrati nelle segrete stanze per buttar giù il fatidico programma di governo. Ai due leader di Lega e M5S quasi non pareva vero di poter passare “alle cose formali” (cit.). Una base a dire il vero era già stata pianificata verbalmente nel corso delle telefonate che hanno preceduto la fatidica svolta. Ci vorranno però ancora diverse ore, magari altri giorni, per mettere nero su bianco lo schema dell’esecutivo da presentare al Quirinale. Sergio Mattarella, dopo essersi armato di una pazienza quasi innaturale per un comune mortale in questi due mesi, ha detto ancora sì.

Dal punto di vista dell’orientamento politico il governo nascente si muoverà sul terreno dimostratosi fecondo in campagna elettorale: legge Fornero, Flat tax, reddito di cittadinanza e immigrazione. Salvini e Di Maio si giocano tutto o quasi, a cominciare da una credibilità politica che ha toccato i picchi più elevati in queste bollenti settimane di primavera. I due hanno tra le mani l’occasione della vita, ma non sarà comunque facile cambiare pelle dopo un’ultima legislatura passata a gridare dai banchi dell’opposizione. È proprio sul fallimento del loro progetto che scommettono tutti i diretti avversari che hanno accolto, quasi a mo’ di ovazione da stadio, il passo indietro di Silvio Berlusconi.

Si tratta su programma e nomi

Nella realtà dei fatti il matrimonio tra le due forze populiste è sempre stata considerato fisiologico da parte del Colle. Tra il dire e il fare, però, c’è sempre di mezzo il mare. Salvini e Di Maio dovranno passare dagli slogan ai fatti, dalla campagna elettorale alle proposte concrete. Per questo Mattarella ha rinnovato l’invito ai due promessi sposi di fare le cose per bene, a cominciare dal programma e dai nomi che rappresenteranno il governo.

Questa mattina parlando a Firenze nel corso dell’ottava edizione di The State of the Union il Capo dello Stato si è spinto addirittura oltre, bacchettando indirettamente proprio la Lega e il M5S. “Le proposte dei sovranisti - ha affermato Mattarella - sono seducenti ma inattuabili. Pensare in Europa di potercela fare da soli è un inganno consapevole delle pubbliche opinioni”.

Un messaggio che ha colpito e affondato in tempo reale Salvini e Di Maio, impegnati a superare lo scoglio cruciale legato alla scelta del futuro premier. “Sono stati fatti significativi passi in avanti” hanno assicurato con un comunicato congiunto i due capi partito al termine del summit di Montecitorio. Con ogni probabilità (a meno che non sia staffetta) a Palazzo Chigi entrerà un personaggio super partes o comunque gradito a entrambi.

La scelta sofferta di Berlusconi

Come nel più classico meccanismo a cascata, dal nome del nuovo premier deriverà la spartizione dei ministeri chiave tra la Lega e il M5S. Resterà fuori dai giochi, almeno sulla carta, Forza Italia che ha annunciato la sua astensione bonaria in Parlamento.

Guai però a considerare Berlusconi il grande sconfitto di questa partita. Non sono pochi coloro pronti a scommettere sulle garanzie incassate dall’ex Cavaliere per aver sganciato Salvini dal Centrodestra. Una scelta in ogni caso sofferta, quest’ultima, sollecitata dai fedelissimi forzisti (Giovanni Toti e Paolo Romani su tutti) e dagli ultimi sondaggi che certificavano il cannibalismo sull’elettorato moderato del Carroccio. Raccogliere la sfida delle elezioni immediate, infatti, avrebbe significato il dimezzamento dei seggi per gli uomini di Berlusconi. Davvero troppo per chi ha dimostrato di resistere anche alle crisi considerate irreversibili del loro capo e proprietario. Uno spirito di sopravvivenza contro il quale si è scagliato Vittorio Sgarbi.

Il popolare politico e critico d’arte ha fatto un accorato appello a Berlusconi per chiedergli di non cadere nella trappola: “Appena ti sarai ritirato i tuoi non saranno con te, che sei fuori scena, ma si faranno tutelare, pur a loro rischio, umiliandosi, dalla Lega”.