Un altro focolaio di crisi è sorto nel tanto martoriato Medio Oriente, a due passi dalle frontiere dell’Afghanistan. L’area del Kashmir, posta all’interno dei confini dell’India, è ora presidiata da migliaia di militari. Le strade sono deserte con frequenti posti di blocco. E’ stato imposto il coprifuoco e le telecomunicazioni sospese. La situazione è aggravata dall’arrivo della stagione monsonica delle piogge.

Per dissuadere le proteste le autorità hanno arrestato centinaia di politici. Anche coloro che, alle ultime elezioni, pur essendo pro-India, si erano battuti per il mantenimento dello status quo.

L’esercito indiano ha utilizzato fucili a pallettoni che hanno provocato numerosi feriti. L’accesso alle cure mediche, tuttavia, è praticamente interrotto, così come l’invio delle necessarie ambulanze.

Il parlamento indiano ha declassato il Kashmir da Stato federale a semplice 'territorio'

Il motivo dei disordini e della conseguente repressione dipende da una modifica alla costituzione approvata il 5 agosto scorso dal parlamento federale indiano, su proposta del premier Narendra Modi. La norma costituzionale considerava a tutti gli effetti lo Jammu – Kashmir uno dei 29 Stati componenti dell’Unione. Allo Stato, l’unico a maggioranza musulmana dell’India, inoltre, era accordata una larga autonomia.

Ora, per effetto di tale modifica, l’ex Stato è stato diviso in due “territori”, entrambi direttamente amministrati da Nuova Delhi: il Jammu - Kashmir e il Ladakh. Poiché nel Jammu la maggioranza della popolazione è induista, il governo indiano ha previsto, per il futuro, uno statuto speciale, esteso anche al Kashmir che tenga conto delle loro differenze religiose.

Tale status non è stato invece accordato al Ladack, l'unico a maggioranza buddhista del subcontinente indiano ed in parte occupato dalla Cina.

Questa nuova ingegneria politico-amministrativa è stata fortemente voluta dal premier Narendra Modi, capo del partito nazional-religioso BJP. Modi ha appena vinto la seconda elezione consecutiva con larghi margini di consenso tanto da aver conseguito la maggioranza assoluta in parlamento.

Ciò gli ha consentito di modificare, in quattro e quattr’otto, l’articolo 370 della costituzione in vigore da settanta anni. La filosofia a monte di tutto è una nuova concezione dell’India. Non più laica, come voluta dal suo primo capo del governo, Jawaharlal Nehru, ma confessionale indù.

Nel Kashmir non si può escludere un’altra guerra che stavolta potrebbe essere atomica

Il Jammu – Kashmir è sempre stato un focolaio di crisi, sin dalla concessione dell’indipendenza a India e Pakistan, nel 1947. Per il suo possesso, i due Stati hanno combattuto ben tre guerre di confine. Una nel 1947-1949, una nel 1965 e una nel 1999. Un’altra guerra è stata combattuta tra India e Cina per il possesso del Ladakh.

Entrambi i conflitti sarebbero tuttora in corso in quanto non è stato firmato alcun trattato di pace ma soltanto armistizi tra le parti. Tanto che il Pakistan occupa ancora territori rivendicati dall’India e viceversa. Così come la Cina, su parte del Ladakh.

Questo perché il confine fissato dagli inglesi per dividere induisti e musulmani, al momento della concessione dell'indipendenza, lasciava una forte minoranza islamica all’interno dell’India. Solo il Kashmir, però era a maggioranza musulmana. Di qui le tre guerre combattute tra i due Stati. Per non parlare della più numerosa migrazione di popoli registrata nella storia umana in soli pochi mesi.

La modifica costituzionale entrerà in vigore quando sarà ratificata dal Presidente della Repubblica indiana.

Ma la firma appare scontata. Uno dei suoi effetti principali, per la vita delle persone, sarà la rimozione del divieto per la popolazione degli altri Stati indiani di trasferirsi in Kashmir e di possedervi case e terreni. Ciò potrebbe riequilibrare la composizione della popolazione, in senso favorevole alla religione induista.

Chiaramente, l’iniziativa indiana ha avuto ripercussioni diplomatici con il Pakistan. Mercoledì scorso, infatti, Islamabad ha rotto i rapporti diplomatici con Nuova Delhi, espellendo l’ambasciatore indiano. Secondo la prassi del diritto internazionale, nell’evoluzione di una crisi, tale atto è immediatamente precedente a quello della dichiarazione di guerra o dell’apertura delle ostilità.

Non va dimenticato che, potenzialmente, una crisi politico-militare in questa area potrebbe sfociare addirittura in una guerra atomica.

L’India, infatti, si è dotata dell’arma nucleare nel 1974, grazie alle conoscenze fornitegli dall’allora alleata Unione Sovietica. Il Pakistan, a sua volta, tra il 1987 e il 1999, con l’appoggio della Cina e degli Stati Uniti. Entrambi i casi certificarono il fallimento degli accordi di non proliferazione nucleare, sottoscritti negli anni dalla maggioranza degli Stati aderenti all’ONU.