Ne uccide di più Twitter che una testata nucleare. Così, visto che nessuno usa praticamente più la penna o la spada, ci troviamo costretti ad attualizzare un vecchio proverbio e sgraniamo gli occhi dinanzi alla personalissima guerra mondiale che Donald Trump combatte tutti i giorni dal suo account. Il bersaglio sono praticamente tutti i Paesi che non si allineano alla politica estera statunitense, nulla di nuovo in realtà perché Washington ha sempre adottato la tattica di 'aut aut'. Ma considerata la confusione che questa strategia ha intrapreso, da quando Trump ha preso posto alla Casa Bianca, è difficile allinearsi a qualcosa che somiglia tanto ad un nugolo di frecce scoccate nel mucchio.

In questo momento i bersagli del presidente americano sono la Corea del Nord, in primis, ma anche quei Paesi che non hanno sostenuto il suo tentato 'golpe' su Gerusalemme. In questo caso la lista è molto lunga, Trump inizia dunque dai bersagli più facili.

'Il mio pulsante è più grande del suo'

Visto il reale argomento della questione ci sarebbe poco da sorridere, però la risposta di Donald Trump al pulsante nucleare che sarebbe pronto all'uso sulla scrivania del dittatore nordcoreano Kim Jong-un ci ricorda una famosa parodia ispirata a Star Wars che porta la firma di Mel Brooks: il dialogo esilarante tra Lord Casco (Rick Moranis) e Stella Solitaria (Bill Pullman) sulla grandezza del proprio 'sforzo' e sulla capacità di maneggiarlo, tratto da 'Spaceballs'.

"Il mio pulsante nucleare e più grande e potente del suo ed il mio funziona", afferma Trump in un Tweet e, dalle Nazioni Unite, gli fa eco la sua agguerrita ambasciatrice Nikki Haley. "Una Corea del Nord nuclearizzata è inaccettabile e c'è altro da fare per assicurarci che vengano attuate le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU".

Nikki Haley ha poi citato notizie in suo possesso secondo le quali il regime di Pyongyang starebbe preparando un nuovo test missilistico. "Se questo accadrà, adotteremo altre misure". Nessun riferimento, invece, alla svolta olimpica. La Corea del Sud ha risposto favorevolmente alla disponibilità di Kim Jong-un di mandare i propri atleti ai Giochi invernali di Pyeongchang e le delegazioni dei due Paesi dovrebbero incontrarsi il prossimo 9 gennaio.

Un'ulteriore notizia, infine, arriva direttamente dal dittatore nordcoreano che ha apprezzato il sostegno di Seoul alla sua "apertura di pace" ed ha disposto il ripristino del canale diretto di comunicazione con il Sud. Ma alla Casa Bianca le aperture in tal senso di Kim interessano poco, l'unica cosa che preme a Washington è lo smantellamento dell'arsenale missilistico e nucleare della Corea del Nord.

Gerusalemme e la resa dei conti

Eppure in questo momento la questione coreana sembra quasi secondaria, il primo obiettivo di Trump per il nuovo anno sembra proprio quello di una 'vendetta' a totale risarcimento dello smacco subito dall'Assemblea generale ONU che ha bocciato a larghissima maggioranza la sua decisione di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele.

Il primo bersaglio è stato il Pakistan, Paese allineato da molti anni con gli Stati Uniti da cui riceve anche ingenti aiuti economici. Trump ha annunciato il taglio di questi fondi, motivandolo con la mancata collaborazione di Islamabad nella lotta al terrorismo internazionale. Il Pakistan è uno dei tanti Paesi che, pur politicamente vicini a Washington, hanno bocciato la linea americana su Gerusalemme. In proposito c'è stata una prima reazione del governo pakistano, quella del ministro degli esteri Khawaja Asif che si è riservato al più presto di "far conoscere al mondo la verità e la differenza tra realtà e fiction". Ma ovviamente il presidente degli Stati Uniti punta come un treno contro la Palestina, diretta interessata della questione.

"Diamo ai palestinesi centinaia di milioni di dollari e loro non vogliono neppure negoziare un trattato di pace con Israele. Noi abbiamo tolto dal negoziato Gerusalemme, la parte più dura. Se i palestinesi non vogliono negoziare, perché dobbiamo fare loro massicci pagamenti futuri?". Il riferimento, per essere più precisi, è ai fondi di circa 370 milioni di dollari (la quota del 2016) che gli Stati Uniti versano all'agenzia ONU che fornisce aiuti umanitari ai rifugiati palestinesi. Somiglia tanto ad un ricatto per imporre all'autorità palestinese di sedersi ad un tavolo e negoziare, anzi accettare le condizioni imposte da Stati Uniti ed Israele, ma in questo caso la risposta della Palestina è abbastanza diretta.

"Gerusalemme è la nostra eterna capitale e non è in vendita, nemmeno per tutto l'oro o i miliardi del mondo", ha risposto a Trump il portavoce del presidente Abu Mazen, Nabil Abu Rudeina. Ha rincarato la dose la dirigente dell'Olp, Hanan Ashrawi. "Nel momento in cui Trumpo ha riconosciuto Gerusalemme capitale di Israele, Trump ha distrutto le fodamenta della pace".

Il taglio di fondi all'ONU

Come abbiamo già ribadito in passato, alla fine i leader politici come Donald Trump e Kim Jong-un ci sembrano soltanto i volti differenti della stessa medaglia. Sono espressioni di presunzione ed assoluta mancanza di rispetto verso ciò che viene sancito dalla Comunità internazionale. Se la Corea del Nord è sorda ai richiami del Palazzo di Vetro e subisce pesantissime sanzioni, ci troviamo di fronte al medesimo atteggiamento di Washington che prima supporta Israele violando la vecchia risoluzione ONU 242 del 1967 che stabilisce i territori occupati dagli israeliani dopo la 'Guerra dei sei giorni' come parte integrante del futuro Stato di Palestina (tra questi anche Gerusalemme Est, ndr) e poi, dinanzi ad un'Assemblea delle Nazioni Unite che boccia su tutta la linea il suo colpo di mano, risponde minacciando i Paesi che gli hanno votato contro, gli stessi palestinesi ed anche l'ONU nella sua interezza.

Poco prima di Natale, infatti, è stata disposta la decurtazione di 285 milioni di dollari dal budget destinato alle Nazioni Unite. Protagonista indiscusso un presidente americano che sventola dollari come fazzoletti e combatte quotidianemente in prima linea... dal suo account Twitter.