Senza nemmeno attendere l’ufficializzazione del risultato elettorale di giovedì scorso, il premier uscente Theresa May, alle ore 13:30 di ieri, ora di Londra, si è recata a Buckingham Palace per ottenere dalla regina Elisabetta il mandato per formare un nuovo governo. In mattinata, la premier aveva avuto colloqui con i rappresentanti del Partito Unionista Nord Irlandese che, con i loro dieci seggi, hanno dato la disponibilità ad appoggiare dall’esterno il nuovo governo, consentendo alla May di contare su una risicatissima maggioranza alla Camera dei Comuni (tre seggi!).

La consultazione elettorale, voluta dalla stessa May per rafforzarsi politicamente, si è rivelata perdente in quanto il suo partito (il Conservatore) non solo non ha guadagnato quel centinaio di seggi che i sondaggi, sino a un paio di mesi fa, gli attribuivano, ma ha perso anche quella maggioranza abbastanza sufficiente che le precedenti elezioni gli avevano conferito.

Le ragioni di questo insuccesso sono da attribuirsi per intero alla premier che non possiede la statura politica di una Margareth Thatcher – a cui tanto si atteggia – e nemmeno del suo predecessore David Cameron, che pure di errori ne ha fatti abbastanza.

L’elettorato britannico vuole risposte ai problemi concreti

La May, infatti, non ha capito che i britannici, ormai, considerano la “Brexit” un caso chiuso, e ritengono che i loro problemi si debbano risolvere a Londra, più che a Bruxelles.

Il suo programma elettorale, quindi, che conteneva come unica richiesta un mandato forte per trattare con gli ex partners europei, si è rivelato perdente. Molto meglio è andata al “vecchio” leader laburista James Corbyn che ha tirato fuori dal cassetto ricette antiche per risolvere problemi attuali ma li ha messe al centro del suo programma elettorale e ha guadagnato una trentina di seggi.

Il risultato complessivo, tuttavia – a nostro parere – ha dato un responso meno frammentato dell’elettorato britannico. I nazionalisti scozzesi (terzo partito a Westmister), infatti, sono stati ampiamente ridimensionati, perdendo una ventina di seggi, e ciò allontana lo spettro della tanto ventilata secessione della Scozia.

L’ingresso in maggioranza del Partito Unionista Nord Irlandese, inoltre, recide sul nascere l’eventualità di unificazione dell’Ulster con la repubblica d’Irlanda. Infine, la scomparsa del partito xenofobo di Nigel Farage, riporta il panorama politico interno del Regno Unito sui binari del tradizionale bipartitismo Laburisti e Conservatori.

I 'puntini sulle I' di Bruxelles mettono in imbarazzo la May

I voti di area xenofoba, tuttavia, sono andati direttamente al Partito Conservatore, consentendogli di limitare la sconfitta, ma ciò condizionerà ancor più la linea politica di Theresa May, per quanto riguarda le trattative per l’uscita definitiva del paese dall’Unione europea. Una trattativa che, sui temi generali, potrebbe benissimo sfociare in una larga convergenza, data l’essenzialità dell’interscambio economico e di capitali tra le due parti.

Ma, in ciò, sono stati gli “europei”, a mettere in imbarazzo Theresa May, individuando tre tematiche da loro definite prioritarie: la garanzia del mantenimento dei diritti dei lavoratori europei residenti in Gran Bretagna; il mantenimento della frontiera “aperta” tra Irlanda del Nord ed Eire e, soprattutto, un contributo finanziario “a fondo perduto”, per la Gran Bretagna, valutato tra i 60 e i 100 miliardi di euro. Ancora una volta, Bruxelles ha messo i dettagli davanti al nocciolo del problema e cioè il mantenimento della libera circolazione delle merci e dei capitali. Una Theresa May indebolita difficilmente riuscirà a riportare la questione sui suoi binari naturali.